
Fake News: Quando la verità si costruisce sulle bugie lette in rete.
Oggi parliamo con Ermes, un nome noto alle cronache per essere considerato il Re delle Fake News, ora convertito alla parte buona del web.
D. Buongiorno Ermes, bene uscito dalla parte oscura del web.
R. Ciao Stefano, fa piacere essere tra i buoni.
D. Ti dico subito che la cosa che mi ha stupito di te è che so che al momento non hai un tuo sito web, come mai? Proprio tu!!
R. In realtà fino a poco tempo fa ne avevo molti siti di web, perché quando mi occupavo di fake news erano uno strumento di lavoro vero e proprio ed erano ovviamente tutti falsi. Ora ne sto progettando uno nuovo per la mia attività di consulenza alle aziende sul riconoscimento delle fake news.
D. Come è iniziata la storia delle fake news, raccontami. Il tuo background qual’era? Come ci sei arrivato?
R. Beh considera che non sono mai stato un appassionato ne di informatica ne di computer, utilizzavo Facebook solo per sponsorizzare la vendita delle t-shirt che producevo insieme ai miei soci designer. In realtà poi di lavoro facevo e faccio tutt’altro.
D. E da li come sono arrivate le fake news?
R. Una volta fatto il mio profilo Facebook ho incominciato ad usarlo e ad iscrivermi ai vari gruppi e a seguire quei siti diciamo così ‘complottisti’, e mi sono reso conto che le notizie che giravano in questi gruppi social non avevano una fonte. Ho incominciato a fare presente questa cosa agli altri utenti dei gruppi ma nessuno sembrava interessato a questo.
D. E poi?
R. Allora mi è balenata l’idea di fare uno scherzo. Ho caricato l’immagine dell’ex ministro di colore Kyenge e ho inserito la frase – come se fosse stata detta dal ministro – ‘Case popolari agli svantaggiati rom e rettiliani’. (I rettiliani sono una specie di razza aliena, NdR). Quello che successe dopo mi ha lasciato di stucco: ci furono centinaia e poi migliaia di commenti e nessuno si rese conto dello scherzo e del collegamento con i rettiliani.
D. Nessuno capì che era uno scherzo?
R. Macché. Anzi, il post diventò virale. A quel punto ho cominciato a farmi delle domande: ma come è possibile, mi sono detto, che la gente creda che la Kyenge possa voler dare una casa popolare agli alieni?
D. Certo. E che idea ti sei fatto?
R. Mi sono dato due risposte: la prima è che molti abbiano confuso i rettiliani con qualche etnia africana, la seconda ipotesi che poi si è rivelata quella effettivamente giusta, è che nessuno ha letto la fonte perché poi nell’articolo che io usavo come fonte in realtà scrivevo delle cose assurde e senza senso tipo delle ricette, oppure parlavo di formula uno. Insomma, uno che fosse entrato nell’articolo indicato come fonte avrebbe capito che si trattava di uno scherzo.
Quindi, ho capito che sui social network e Facebook in particolare non c’è approfondimento ma solo notizie veloci sparate una dietro l’altra. Appena hanno visto una persona o avversario politico hanno lanciato la provocazione a mezzo commento.
D. Incredibile. Ricordo perfettamente questa storia, arrivò perfino sui tg nazionali.
R. Si, infatti. A quel punto ci ho preso la mano e ho incominciato a fare delle fake news più curate: Letta che diceva che la disoccupazione non esisteva ma erano i giovani a non voler lavorare.
D. Altra notizia fake diventata di dominio pubblico.
R. Si, inventavo tutte queste citazioni e frasi che potevano avere un riscontro mediatico.
D. E poi?
R. Ad un certo punto ho incominciato a prenderci la mano e ha studiare in maniera approfondita il comportamento e le reazioni degli utenti dei social alle notizie. Falsi concorsi, false notizie, facevo dei siti che scimmiottavano i TG o i giornali.
D. Usavi i siti per rilanciare la notizia, quindi?
R. Più che i siti facevo dei finti profili su Facebook, come quando mi sono finto malato e mi sono fatto fotografare con il cartello ‘Grazie Renzi’ per il taglio delle spese sanitarie.
D. Immagino che avrai collezionato anche querele e denunce di vario tipo.
R. Veramente no, ho ricevuto qualche diffida all’utilizzo di nomi o prodotti ma nessuna denuncia, anzi, molti complimenti specialmente da alcune aziende.
D. Ah si? Quali ad esempio.
R. Cedrata Tassoni fu molto interessata e felice di una mia bufala-fake news su di loro nella quale dicevo che non utilizzavano Olio di Palma, così come Smeg fu contenta del mio post fake sull’abbandono dei frigoriferi a Roma, nel quale dicevo che l’unico frigo che non veniva abbandonato era lo Smeg.
D. Qual è la tua idea sugli utenti? Non approfondiscono le notizie?
R. Si, sicuramente. Sono molto superficiali e neanche vanno a vedere la fonte della notizia condivisa.
D. Incredibile.
R. Eh già, se azzecchi la provocazione funziona tutto, puoi fare qualsiasi articolo. Ognuno cerca un modo per sfogarsi su internet.
D. Riuscivi a monetizzare la cosa, è diventato un lavoro oppure lo facevi per scherzo?
R Ho sempre rifiutato di mettere i banner, anche se avrei potuto guadagnarci bene perché facevo anche 300.000 visite per una singola notizia e spesso sono stato contattato anche da aziende interessate a fare dei post virali-pubblicitari. Ma io l’ho sempre vista come qualcosa di artistico, non commerciale.
D. Capisco. Una specie di installazione sul web.
R. Esatto. Io vengo dal mondo della satira, Frigidaire, Il Male, quindi volevo fare goliardia per far pensare.
D. E ora, dopo la fine delle fake news cosa fai?
R. Ora sto iniziando ad insegnare come docente di social media presso My Web School e ho degli incarichi di consulenza nella comunicazione e nel marketing. Le aziende sono molto interessate a questo.
D. Perfetto, ti ringrazio molto Ermes e ci vediamo al WMT.
R. Grazie Stefano e un saluto a tutti.